Thursday Doc: Mookie Blaylock
Seconda puntata della nostra rubrica sulle storie di giocatori NBA più o meno recenti senza un lieto fine. Oggi parliamo di Mookie Blayloc
Seconda puntata della rubrica in cui ripercorriamo storie sui giocatori NBA più o meno recenti senza un lieto fine. Oggi parliamo di Mookie Blaylock.
THURSDAY DOC
Daren Oshay Blaylock
Ma per tutti, nella NBA, Mookie Blaylock. Una storia da stella di questa lega, una fama, più o meno volontaria, che ha travalicato il basket finendo, in parte, nella storia della musica, quella di altissimissimo livello, una caduta negli inferi della vita post cestistica come troppo spesso a questi ragazzi/uomini è accaduto quando non si è pensato all’uomo Blaylock ma solamente all’ottimo giocatore, che senza dubbio è stato.
Ma come sempre bisogna andare con ordine, iniziando dal principio. Mookie Blaylock nasce a Garland, Texas il 20 Marzo 1967. La sua vita è caraterizzata, come quella di tanti ragazzi, dall’idea fin da piccolo di voler diventare un giocatore di basket. Certo le dimensioni fisiche sono contro di lui, nell’idea dell’epoca, ma la sua forza di volontà e la sua determinazione gli permettono di lavorare sul fisico che madre natura gli ha dato, sviluppando da subito un’attitudine difensiva che lo porta agli onori delle cronache statali sin dal primo anno alla Garland High School.
Il ragazzo viene reclutato da Midland College, uno junior college, ma dimostra nei due anni di permanenza, di essere di categoria superiore, specie alla voce difesa e recupero palloni, attira le attenzioni delle università del circuito NCAA, e nel 1987 si trasferisce a Oklahoma University, dove in breve tempo diventa un giocatore importante, fondamentale nel percorso della March Madness 1989, chiusasi con la sconfitta in finale contro Kansas University. Il suo nome viene associato ad una chiamata medio alta nel draft NBA 1989, anche perché oltre alle conosciute doti difensive, si è costruito un tiro dalla media/lunga distanza che ne ha creato anche una discreta pericolosità offensiva.
Ed infatti nel draft del 1989 viene chiamato con la #12 dai New Jersey Nets. Tre stagioni a Newark di ottimo livello, dove, dopo la più classica delle stagioni da rookie di apprendimento, diventa la PG titolare, viaggiando in doppia cifra per punti, dimostrando ottime doti da passatore, e aumentando la capacità difensiva. Ed il suo nome inizia a salire sugli altari della cronaca all’inizio degli anni 90 anche per motivi extra cestistici, alla voce musica. Perchè sulla costa ovest degli USA, a Seattle, cinque ragazzi con alla voce uno che si chiama Eddie Vedder decidono di creare una rock band e di chiamarsi Mookie Blaylock, proprio in suo onore, essendo tutti appassionati di basket, e rimanendo impressionati dalla storia cestistica del ragazzo di Garland.
E con quel nome si esibiscono per la prima volta live, aprendo un concerto degli Alice In Chains. Quando firmeranno per la Epic Records per incidere il loro primo disco, cambieranno il nome in Pearl Jam, ma il titolo di quel disco, Ten, sarà un ulteriore dedica al giocatore. Ma tornando alla pallacanestro tutta la lega scopre che questo ragazzo di 183 cm. riesce a difendere usando bene il suo fisico anche su giocatori molto più alti di lui.
Gli Atlanta Hawks pensano che possa essere l’uomo giusto per ricreare una squadra ambiziosa, ed imbastiscono una trade nell’estate del 1992 per portarlo in Georgia. Le sette stagioni passate in maglia Hawks saranno quelle più ricche di soddisfazioni per il Texano.
Atlanta con coach Lenny Wilkens torna ad essere una protagonista di primo livello nella Eastern Conference, e Blaylock ne diventa uno dei leader in campo. Sette stagioni in doppia cifra per punti, leader negli assit e nelle palle recuperate, non solo della franchigia la per due stagioni consecutive il #1 della lega, tiratore da tre punti più che affidabile, viene convocato anche per l’All Star Game, nella stagione 1993/94. Solo che, come molte volte succede, la vita da stella cestistica ha i suoi lati oscuri.
E per Blaylock il lato oscuro ha un nome chiaro: alcol. Al di là della vita cestistica il #10 non riesce a crearsi niente. Ha una famiglia, certo, moglie, figli, ma le relazioni sociali sono poche. Inizia a frequentare troppo spesso i locali di Atlanta, beve, troppo. Nel 1995 viene fermato, e arrestato, per guida in stato di ebbrezza. Viene rilasciato e la sua patente viene sospesa. Gli Hawks hanno già avuto in passato problemi simili, legati più all’abuso di cocaina che di alcol, e, forse, sottovalutano il problema. Ed anche Blaylock non viene visto esattamente come l’indisciplinato di turno. Anche perché la stagione 1996/97 è probabilmente la migliore della sua carriera. Non si hanno più notizie di sue infrazioni, anche se le voci che il problema non sia stato risolto circolano nell’ambiente degli Hawks. La stagione 1998/99 è la sua ultima con la maglia della franchigia della Georgia.
Malgrado il suo apporto non sia sempre costante, nella off season viene ceduto improvvisamente ai Golden State Warriors. Si vocifera che Atlanta abbia deciso di togliersi il problema Blaylock prima che diventi ingestibile. Chiude la sua carriera nella baia, due stagioni sui suoi livelli, l’ultima, 2001/2002, caratterizzata da infortuni e da perdita di minuti. E anche da altro, chiaramente. Lontano dalla famiglia il problema alcol si ripresenta. I Warriors lo fermano due volte durante la stagione, e alla fine il ritiro è quasi una scelta obbligata.
Ma da quel momento le cose vanno anche peggio. Riprendono gli arresti per guida sotto l’effetto di enormi quantità di alcol. Nel 2007 addirittura sei volte. Nel 2010 viene fermato alla guida della sua automobile con una quantità di alcol nel sangue quattro volte e mezza supriore alla norma, così ubriaco da cadere per terra quando viene invitato ad uscire dall’auto.
La caduta prosegue inarrestabile. Anche perché malgrado gli sforzi della sua famiglia, Blaylock rifiuta di sottoporsi a trattamenti riabilitativi.
Il 2013 è l’annus horribilis. Dopo aver speronato delle auto in un parcheggio di un supermercato, tenta di fuggire a piedi, ma è anche qui talmente pieno di alcol da non riuscire a reggersi in piedi. Viene arrestato, patente ritirata, obbligato a iniziare una terapia riabilitativa, che passa anche attraverso l’assunzione di farmaci antidepressivi, di cui ovviamente abusa.
Alle 13.00 del 31 Maggio 2013 a Jonesboro, 30 km. a sud di Atlanta, la sua Cadillac Escalade buca un semaforo rosso e colpisce ad oltre 70 km/h l’auto su cui viaggiano Frank e Monica Murphy, che tornano a trovare i parenti dopo 18 mesi dall’essersi trasferiti a vivere in Texas.
L’impatto è terrificante.
Monica Murphy morirà per le ferite riportate dopo pochi giorni, lasciando il marito, che sopravvive miracolosamente, e cinque figli. Mookie Blaylock è alla guida della sua vettura, finisce in terapia intensiva per le gravi ferite riportate. Ma sopravvive. Negli esami effettuati post incidente si scopre che al momento dell’incidente è sobrio, ma sotto l’effetto dei farmaci anti depressivi, ed in preda ad una violenta crisi di astinenza da alcol.
Quando è in grado di uscire dall’ospedale viene arrestato e succesivamente condannato a 15 anni di reclusione, anche se in raltà ne sconterà solo 3 nelle patrie galere. Il resto della pena sarà suddiviso in libertà vigilata, lavori nei servizi sociali, percorso di riabilitazione e sospensione della patente, quella sì per 15 anni. Al processo chiederà scusa a Frank Murphy ed alla sua famiglia per l’accaduto, in un modo che a tutti è parso poco convincente. I conti alla fine li dovrà fare con la sua coscienza.
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