Kobe: One Man, One Goal...One Vision
Ho 14 anni nel 1996 quando Jerry "Mr. Logo" West toglie le castagne dal fuoco e con uno schiocco di dita tira fuori i Lakers dal pantano post-Magic.
Firma Shaquille O'Neal, quello che rompe i canestri e ha le scarpe optical, manda via Ceballos per far arrivare Robert Horry, quello dei tiri vincenti a Houston, sceglie un certo Derek Fisher in fondo al draft ... e poi scambia Divac, il centro con le mani d'oro, per un ragazzino uscito dal liceo.
Kobe Bryant
Quanto mi manca Jerry West. A quei tempi, sulle riviste, Bryant non faceva tanto rumore: senza esperienza collegiale, senza tiro, buon atleta ma insondabile. Anche se correva voce che avesse letteralmente distrutto in 1 vs 1 chiunque gli si fosse parato di fronte durante le sessioni di valutazione. Questo preludio è una buona sintesi della prima parte della carriera NBA di Bryant: buono ma non il migliore. A cavallo del 3-peat, il "one-two punch" Shaq-Kobe sembrava tarato sul respiro di O'Neal. Shaq era quello dominante, Kobe si pensava vivesse negli spazi lasciati aperti grazie alla presenza del suo compagno. In fin dei conti, Shaq non aveva nessun rivale plausibile, i centri storici come Robinson, Ewing, Olajuwon e Mourning erano troppo vecchi o infortunati, e gente come Eric Dampier, Olowakandi e Brad Miller non meritavano neanche di apparire sul radar. Riuscire a firmare Theo Ratliff (questo me lo ricordo solo io) in quegli anni poteva sembrare una mossa degna di nota. Per le guardie/ali il discorso era invece molto aperto: Allen Iverson, Tracy McGrady, Allan Houston, Grant Hill, Ray Allen, Vince Carter, Paul Pierce, Latrell Sprewell e vecchi fenomeni o talenti sopiti come Jerry Stackhouse, Michael Redd e Michael Finley, erano tutti nominabili nella discussione. In quegli anni nella lega, ad ogni draft, entravano almeno un paio di esterni al quale il paragone jordanesco veniva imposto dalla stampa. Tra tutti questi Kobe Bryant non era mai il più atletico, il miglior tiratore, il più visionario, il più affidabile, il miglior difensore o l'all around più costante. No, Kobe Bryant doveva le sue cifre alla massa gravitazionale di Shaq, che attirava su di se le attenzioni delle difese. O almeno questa era la linea implicitamente suggerita dei media. C'era qualcosa di vero, Bryant certamente non è mai stato il giocatore più talentuoso nel suo ruolo, ma quello che gli mancava tra le inclinazioni naturali lo ha saputo colmare con l'allenamento e il lavoro su tutti gli aspetti del gioco. "Infaticabile" e "ossessionato" sono gli unici termini che calzano perfettamente la figura di Bryant come professionista. Qualsiasi cosa potesse migliorarlo come individuo sul parquet l'ha sperimentata e metrizzata, senza tirare in ballo il confronto video con i movimenti fotocopiati dal manuale del 23, provate ad andare a vedere chi, tra i giocatori che si sono pagati una lezione privata con Hakeem Olajuwon, ha davvero arricchito il suo bagaglio tecnico. Dwight Howard lo ha fatto giusto per una questione di immagine, per dare l'impressione che stesse lavorando sul suo gioco, ma è rimasto lo stesso giocatore di prima (con una schiena in meno), mentre LeBron James, seppur con intenzioni migliori, non ha davvero tratto beneficio da quelle sessioni di allenamento. Bryant? Si è trasformato nel miglior giocatore di post basso dell'intera lega. A quattro metri dal ferro, spalle a canestro sulla linea di fondo o dal gomito, Kobe Bryant aveva (ha?) una lista di soluzioni impressionante. Semplicemente indifendibile. La sua fissazione sul gioco dalla media distanza ora, nell'era di Stephen Curry e James Harden, può sembrare anacronistica ma per molto tempo, mentre la lega transitava verso la forma attuale del gioco fatto esclusivamente di tiro da 3 e penetrazioni, ha riempito uno spazio vuoto che solo i veri appassionati del gioco possono apprezzare. Non si diventa la seconda miglior guardia di sempre senza una testa come quella. L'impegno e il lavoro duro sono stati anche l'origine delle parti criticabili della sua carriera. Bryant non è il tipo di giocatore che migliora i propri compagni, ma piuttosto quello che mette l'asta in alto e impone a tutti di saltare. Non tutti riescono a trarre vantaggio da questo tipo di pressione, e non è necessariamente quel tipo di clima nel quale si può esprimere un grande gioco di squadra. La verità, da tifoso gialloviola, ricordo alcune versioni dei Lakers di Kobe estremamente dominanti, ma non ne ricordo quasi nessuna che sapesse esprimere un bel gioco con costanza. I Lakers se vincono lo fanno di pura forza e determinazione, anche la versione con Gasol e Odom, potenzialmente più di "finezza", in realtà brilla solo a tratti. Tante sono le volte in cui la partita inizia sulle note sbagliate, e per rimediare Kobe sale in cattedra sparando 28 tiri, mettendone 12 di cui 9 consecutivi negli ultimi 5 minuti della partita. Funziona, ma non è un bello spettacolo. Eppure non è vero che non sa passare la palla: negli anni del suo apice tiene una media di 5-6 assist a partita, non crea necessariamente gioco per la squadra ma, se ritiene i suoi compagni degni di fiducia, non disdegna cedere la palla. Quando vuole sa anche trasformarsi nel miglior difensore in campo, si accende la luce rossa e non passa più nessuno. E' un giocatore intelligente, capisce che attirare l'attenzione su di se, costituire una minaccia costante per le difese, crea spazi per gli altri, per quei compagni che dovrebbero prendere rimbalzi in attacco e segnare sugli scarichi. Ma è anche vero che di giocatori degni, secondo i suoi standard, ne sono passati ben pochi nello spogliatoio. Il numero di compagni che magari avrebbero potuto dare un apporto migliore alla squadra, ma che sono stati soffocati dai requisiti imposti da Bryant, è sconosciuto ma certamente molto alto. E' indubbio che le recenti free-agency fallimentari dei Lakers siano state anche determinate da questo. Requisiti imposti agli altri ma anche a se stesso. Il suo ritiro è l'ultima affermazione di una persona che non accetta di essere meno di quello che è stato, di non essere più in grado di saltare l'asta che lui stesso ha deciso di mettere. Avrebbe potuto giocare ancora 2 o 3 anni, come lo ha fatto Paul Pierce nelle ultime stagioni, a salario ridotto e con 15 minuti di qualità da spendere nei momenti importanti delle partite, ma semplicemente non ha voluto. Del personaggio fuori dall'arena non voglio parlare, non ne vale la pena, ma tengo a precisare che io, in quel brutto periodo lì, andavo in giro per Milano con la numero 8 per solidarietà. E' un rapporto bizzarro quello tra me e Kobe Bryant, fatto di frustrazione nell'averlo visto giocare con testardaggine ed egoismo, e di ammirazione e gratitudine per le vittorie che ha strappato con tenacia ed inesorabile determinazione. Con Bryant se ne va l'ultimo rappresentante di punta un basket che nella NBA non trova più molto spazio: elegante e compatto, footwork di prima classe, mano destra e mano sinistra vicino a canestro con tonnellate di jumper dalla media facendosi spazio con la spalla. Cosa ne sanno le guardie di adesso di come si usa la spalla se i difensori non possono più prendere contatto con il corpo? Bambini viziati. Panteroso Kobe che punta il ferro con una fluidità propria solo a lui, con una morbidezza delle forme e dei gesti che solo un perfezionista qual'è può raggiungere.The Black Mamba.
Entra in palleggio, gli parte il tendine di achille, si rialza, tira due liberi, li segna ed esce fuori dal campo sulle sue gambe. Altra pasta di uomo. Gli ho rubato un movimento, è il mio tributo. Prendo palla sul lato destro a cinque metri, punto il difensore, gli do la schiena lasciandogli credere che lo spingerò in post basso, virata rapida sulla linea di fondo con il gomito a tenere indietro il difensore e reverse lay-up.Kobe style
P.S Il titolo del post lo ha scelto F.M.B, qualche anno fa aveva stilato una playlist di canzoni associate ai giocatori NBA e per Kobe scelse "One Vision" dei Queen
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