In ricordo di Bill Russell (1934-2022)
Leggenda, Hall Of Famer, campione dei due mondi ma anche icona nel sociale: la vita del #6 più grande si sempre
È sempre estremamente difficile trovare le parole giuste per iniziare un articolo in cui si dovrebbe commemorare e ricordare una vera leggenda della pallacanestro, e non solo, come è stata Bill Russell. Ci ha lasciato oggi, all’età di 88 anni. In assoluto il giocatore più vincente, insieme al giocatore di hockey Henri Richards della storia dello sport professionistico made in USA.
Un uomo, ancor prima che un giocatore, che è stata un’autentica icona per tutti quelli che in qualche modo hanno avuto a che fare con il basket. La figura di Bill Russell cestista è a disposizione di chiunque voglia trovare in rete, ovunque, le sue incredibili statistiche da vincente.
Che inizia molto prima del suo approdo nella NBA, quando mise sulla cartina cestistica della NCAA la San Francisco University, portandola a vincere due titoli, viaggiando a 20 punti e 20 rimbalzi di media, e ad un incredibile serie di vittorie consecutive, 55 per l’esattezza. Prosegue, poi, con il rifiuto di terminare in anticipo la carriera universitaria per poter partecipare alle Olimpiadi di Melbourne del 1956, vinte, chiaramente, con una devastante prestazione in finale contro l’Urss.
E poi il salto nella lega, con l’intuizione di Red Auerbach di volere assolutamente Bill Russell nei suoi Celtics, motivo per cui sacrificò due stelle dei Celtics dell’epoca per avere la scelta #2 dei Saint Louis Hawks e poterlo scegliere al draft, intuendo che i Rochester Royals non avrebbero mai speso la loro prima scelta per Russell. Undici titoli, da giocatore i primi nove, da giocatore/allenatore gli ultimi due, primo afro/americano ad essere nominato head coach di una squadra NBA, cinque volte MVP della lega, mai MVP delle finals per il semplice motivo che questo riconoscimento venne istituito a partire dal 1969, l’anno della sua ultima vittoria e del ritiro. Il primo ad aver innalzato il concetto di difesa come parte indispensabile per poter vincere i titoli. Un leader vero in campo e non solo.
Ma come abbiamo detto, l’importanza di Bill Russell è sempre andata anche oltre quello che ha fatto vedere sul campo. Nato e cresciuto a Monroe, in Louisiana, sin da piccolo aveva sperimentato sulla sua pelle, e su quella della sua famiglia, il significato delle parole razzismo e segregazione. Motivo per cui la vita di Russell è sempre stata quella di un uomo in prima linea per combattere soprusi razziali, discriminazioni e razzismo.
Russell, insieme ad altri suoi compagni di squadra dei Boston Celtics, fu il promotore di un famoso boicottaggio che lo vide non scendere in campo a Lexington, Kentucky, in una partita di pre season contro i St. Louis Hawks nel 1961. Questo perché nell’albergo in cui i Celtics soggiornavano, il personale si rifiutò di servire a lui e ad i suoi compagni afroamericani la colazione ed il pranzo. Nel 1967, Russell, su invito del running back dei Cleveland Browns, Jim Brown, partecipò, promuovendolo in tutta la lega, al Cleveland Summit, una riunione tra atleti afroamericani per supportare Muhammad Alì, e la sua decisione di non andare a combattere in Vietnam. In quegli anni complicati non ha mai avuto paura di definirsi un attivista del movimento Black Power. E questa sua battaglia è continuata negli anni, attraverso libri, interviste e dichiarazioni, come quella di solidarietà a Colin Kaepernick.
Ma personalmente mi piace ricordare Bill Russell per due cose di natura prettamente cestistica.
Stagione 1976/77, Seattle. Bill Russell sta allenando i suoi Sonics, che sono in un momento difficile della stagione. Durante la partitella di allenamento Dennis Johnson, guardia rookie talentuosa, che vivrà stagioni fenomenali più avanti proprio ai Celtics, segna due canestri in penetrazione attaccando il centro di quei Sonics, Tom Burleson, un bianco di 216 cm che dovrebbe essere un discreto intimidatore. Russel rimbrotta Burleson per come non sia riuscito ad arrivare in aiuto contro la giovane guardia. Burleson risponde con un: “ dai fammi vedere tu……”, e Russell, quarantaduenne e con qualche acciacco, accetta. Johnson attacca l’area dei tre secondi terzo tempo e……..palla che finisce nella prima fila delle sedie degli spettatori del campo di allenamento dei Sonics. Secondo tentativo, penetrazione, finta, sottomano e palla che viene letteralmente bloccata da coach Russell. Che si gira, guarda Burleson e dice: “ si dovrebbe fare così…..”.
La seconda è una risposta, piccata dal leader che è sempre stato, che diede a LeBron James, quando il re nel 2014 durante la pausa per l’All Star Game, fece l’elenco dei giocatori che lui avrebbe messo sul suo personale Monte Rushmore della lega.
Hey, grazie per avermi lasciato fuori dal tuo Mount Rushmore. Sono felice tu lo abbia fatto. La pallacanestro è un gioco di squadra. Non è per i premi individuali. Io ho vinto il titolo nella high school due anni di seguito. Ho vinto il titolo NCAA in back-to-back. Ho vinto il titolo NBA al mio primo anno nella lega e nel mio ultimo. E nove nel mezzo. Questo, Mr. James, è scolpito nella pietra
Arrivederci William Felton Russell, che la terra ti sia lieve, e grazie per tutto quello che hai dato in questo mondo.
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