Il mio Kobe Bryant preferito? Shhhh!

In una delle stagini più incredibili di sempre un pensiero non poteva andare al "Black Mamba" che ha appeso le scarpe al chiodo dopo 20 anni di meraviglie.

Scritto da FMB  | 
In una delle stagini più incredibili di sempre un pensiero non poteva andare al "Black Mamba" che ha appeso le scarpe al chiodo dopo 20 anni di meraviglie.
 
È stata senza dubbio la Regular Season più massacrante da quando ho aperto NBA-Evolution nel 2009, fidatevi che gestire DA SOLO tutta una stagione soprattutto una stagione come questa ricca di record, imprese, annunci, momenti shock e finale in volata per la corsa Playoffs non è una passeggiata contando anche i mie altri impegni mediatici (Football Americano, Tennis e recentemente Formula 1), avrei voluto scrivere più editoriali come sull'introduzione di Allen Iverson nella Hall Of Fame, sulla Regular-Season disumana dei Warriors, su LeBron, su  quella trottola di Westbrook ma alla fine solo oggi (che poi ho iniziato martedì sera) riesco a buttare giù due righe mie, e il protagonista non poteva che essere  Kobe Bryant.
 

Prima di tutto vi avverto che NON sarà un post smielato pieno di piagnistei con l'abuso indecoroso della parola "lacrime" che tanto è andata di moda sui Social in questi giorni, che poi lacrime di che? Io sono CONTENTO, perché dovrei piangere? Ha dato TUTTO!
Ho avuto la fortuna di vivere la carriera di Kobe, di vederlo vincere 5 titoli, di vederlo scrivere pagine della storia della Lega, di essermi svegliato una mattina e vedere tutti i miei contatti dell'allora MSN Messenger con la sua foto dopo gli 81 punti contro Toronto, di averlo visto alle 5:30 del mattino rovinare l'ultimo All Star Game di Michael Jordan e poi andare a scuola con nessuno dei miei compagni di classe che sapeva di cosa stessi parlando, di averlo visto dal vivo alle Olimpiadi di Londra e di averlo visto stanotte spararne 60 con tutto l'agonismo che lo ha sempre contraddistinto, se ne va senza rimpianti e con la consapevolezza che nell'Olimpo della pallacanestro non ci ha messo solo la firma.

Per lo #SKYKobeDay l'emittente televisiva ha trasmesso i momenti/partite più belli della carriera del Mamba, bellissima iniziativa, ottima scelta di partite ma tra quelle non c'era la mia preferita, quella che per me ha mostrato il miglior se non il più grande Kobe Bryant di sempre: la finale delle Olimpiadi di Pechino 2008, il Redeem Team! 

La mentalità con la quale Kobe si è immerso nella sua prima avventura Olimpica è stata devastante, dovette rinunciare ad Atene 2004 per via del famoso scandalo del Colorado e anche perché bruciava ardentemente di rabbia per la brutta sconfitta alle NBA Finals contro i Detroit Pistons in una stagione che fece implodere letteralmente i super Lakers di Phil Jackson, Iverson e Duncan non riuscirono a trascinare alla medaglia d'oro una squadra composta neanche un mese prima con dei giovanissimi e inesperti James-Wade-Anthony, fu bronzo con tanto di nomea di Scream Team

Mondiali di Saitama con al timone coach Mike Krzyzewski furono un altro fiasco, talento immenso, esperienza poca come l'umiltà, basti ricordare che coach K non sapeva neanche il nome di un signor giocatore quale Theodōros Papaloukas chiamandolo "Number #4" che lo prese per i fondelli per tutta la semifinale. Il nucleo c'era, servivano 2 pezzi: il veterano che aveva già vissuto l'esperienza Olimpica, che fu Jason Kidd, e il killer.
Non so quanti di voi siano appassionati di UFC (Arti marziali miste) ma ad UFC 194, dopo aver infranto in 13" con un sinistro alla mascella i sogni di gloria di Josè Aldo, il mio beniamino Conor McGregror nell'intervista a caldo post-match se ne uscì con una frase spettacolare:

La precisione batte la velocità, il tempismo batte la potenza.

Kobe Bryant quel giorno fu preciso con un tempismo terrificante. Ero in vacanza a Varazze in Liguria, era l'ultimo giorno di vacanza e mi ricordo che feci di tutto per tardare la partenza perché la finale era trasmessa LIVE dalla RAI e quindi erano circa le 10 del mattino in Italia, Team USA chiamato per la prima volta nella sua storia a dimostrare qualcosa, avversario nel suo momento storico migliore, la Spagna, e lui fu uno spettacolo! Selezione di tiro perfetta, esecuzione perfetta, tutto al posto giusto al momento giusto, mai visto così trascinatore, così leader e così imponente.

La Spagna giocò una partita rasente alla perfezione, ricordo un Dwight Howard (tanto per cambiare) in balia di Pau Gasol, Juan Carlos Navarro, Rudy Fernandez e uno sbarbato Ricky Rubio scatenati, piano partita di Sergio Scariolo eseguito alla grande dalle furie rosse, il finale non poteva che essere in volata. In difesa credo di non aver mai visto LeBron difendere così alla morte su Gasol viste le difficoltà di Howard, la squadra dietro contiene gli avversari, James realizza un bel layup di mano sinistra per il +11 a 5'23" ma la Spagna ci crede, tiene il fiato sul collo degli americani, la palla pesa, bisogna chiuderla, in campo ci sono Paul-Wade-James-Bosh ma c'è insicurezza e la si percepisce negli sguardi durante il time-out, poi eccolo: "Datela a me, ci penso io" forse non ha usato le stesse parole ma il significato era quello:

4'11" (103-95) - Howard lascia Gasol per andare su Rubio, Rubio la alza per l'alley-oop e come un falco arriva Kobe che la deflette come un Cornerback NFL evitando la schiacciata del potenziale -6 Spagna.

3'10" (104-99) - Wade penetra, scarica per il #10, aspetta il recupero di Rudy, finta di partenza a destra, unisce i piedi e BOOM! Tripla e fallo con tanto di dito sulla bocca per zitire tutti, tipo Cristiano Ronaldo quando nel clasico del 2012 al Camp Nou esulterà al goal del 2-1 usando l'espressione "Calma, calma que yo estoy aquí"

1'13" (111-105) - Il floater che spegne le speranze iberiche, un floater che non entrerà accarezzando solo al retina ma rimbalzerà sul ferro prima di depositarsi sul fondo perché "è il coltello più lento, il coltello che si prende il suo tempo, il coltello aspetta anni senza dimenticare e poi morbidamente penetra fra le ossa. È quello il coltello che ferisce di più" (Dark Knight Rises, ndr)

Aveva sulle spalle il peso di una Nazione intera, di una storia da rinvigorire dopo i flop di Indianapolis, Atene e Saitama, il peso che da solo si era caricato sulle spalle dopo la deludente sconfitta alle Finals nel suo anno da MVP, il peso di un avversario probabilmente il migliore di sempre, il tutto in contesto non NBA.

Quando LeBron James quest'anno dirà che Kobe lo ha ispirato e che ha cercato di imparare il più possibile non dirà una balla, perché quello che ha fatto Kobe Bryant quella sera al Wukesong Indoor Stadium fu lo stesso che LeBron replicherà poi alla O2 Arena alle Olimpiadi di Londra 4 anni dopo, sempre in finale, sempre contro la Spagna e sempre con una bomba del momento chiave ed è stata questa la grandezza di Kobe: quella notte ha fatto capire che se lui aveva rubato tutto quello che poteva a Michael Jordan, adesso tutti avrebbero cercato di rubare tutto da lui.


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